Il ballo del soldo
 

I quaranta giorni della Quaresima, iniziarono di mercoledì. Rimanevano soltanto due giornate di carnevale, ma anche dopo Pasqua, quando i giorni di penitenza della Quaresima fossero terminati, ci sarebbero state poche occasioni per festeggiare, almeno fino al carnevale dell'anno successivo. A volte la domenica sera si poteva sentire la musica da ballo provenire dal palazzo comunale dopo Fora delle funzioni religiose. Il prete rimaneva all'ingresso . della chiesa mentre tutti quanti uscivano in fila, e ricordava ai ragazzi, che avrebbero potuto avere la tentazione di andare a zonzo, di filare dritti a casa. Il lunedì pomeriggio prima del martedì grasso, Maria stava aiutando sua madre a infornare il pane che i vicini avevano portato affinché venisse cotto nel grande forno della cucina di Filomena. Le pagnotte erano pronte e madre e figlia le stavano sfornando con una lunga pala di legno. Ma Maria riusciva a pensare solo al ballo di quella sera nel paese vicino. Chiese alla madre il permesso di andare, timorosa della risposta. Maria era quella timida e ubbidiente, non come sua sorella Irma.

 

Irma era solita spiegare ad alta voce le sue pretese e ciò metteva in imbarazzo l'indole riservata di Filomena, la quale, temendo che i vicini potessero udirla, cedeva più facilmente alle richieste di Irma. "No" disse a Maria, rispettando fedelmente il finale che Maria prevedeva. "Ci sei andata ieri sera, domani è troppo presto per tornarci di nuovo. Vuoi che ti giudichino la Madonna del giro?". Filomena pensava fosse inaccettabile che la figlia, ventenne, venisse vista per tre sere consecutive in paesi diversi, ovunque fosse stato il ballo quella sera. Funzionava così a Montecchio, una piccola cittadina dell'Italia nel 1920 e una madre sensibile avrebbe protetto la reputazione di sua figlia dalle malelingue. Maria credeva che la musica che le risuonava in testa fosse frutto della sua immaginazione. Lei e sua madre avevano quasi finito di lavorare, la cucina era calda; Maria era imbrattata di farina e cenere. Non l'aveva affatto immaginata la musica, il suono giungeva dall'altra parte della città: una fisarmonica, un clarinetto. Il clarinetto, quanto lo amava! A breve i musicisti sarebbero passati lungo la strada di fronte alla loro casa, due di loro suonavano camminando e un terzo uomo portava tra le braccia la custodia del basso.

 

Filomena osservava Maria, immobile sulla soglia di casa con la porta spalancata che cercava attentamente di vedere e ascoltare i suonatori, finché i tre uscirono dalla visuale e la musica sfumò a poco a poco. La madre sapeva bene che Maria non l'avrebbe implorata, né avrebbe contestato la sua decisione; non si sarebbe arresa ma poteva trovare un compromesso con questa figlia così mite, anche se una parte di lei era convinta che la ragazza non avrebbe accettato le condizioni poste. "D'accordo, d'accordo" disse, sapendo che Maria avrebbe voluto mettersi in ordine, "puoi andare ma solo se esci esattamente come sei, senza cambiarti né pettinarti". Maria non poteva crederci, l'entusiasmo di andare a ballare era molto più forte della preoccupazione per il suo aspetto. E così Filomena e Maria si sorpresero a vicenda ma soprattutto Maria avrebbe danzato quella sera. Andò a cercare suo padre, il quale si stava occupando degli animali nella stalla. Non sarebbe mai potuta andare senza il suo consenso (la gente avrebbe 'parlato' se non fosse stata accompagnata) eppure non ne temeva la reazione. "Babbo, mamma dice che posso andare alla festa da ballo stasera. Mi accompagni?" Giovanni si preoccupava delle apparenze molto meno di Filomena, era molto più incline a rendere felice la figlia (Irma la chiamava la coccolina del babbo).

 

Le rispose che sarebbe potuta andare e che lui poi l'avrebbe raggiunta. Maria non perse un istante, afferrò il suo scialle e corse fuori, in quel freddo febbraio, con i capelli scomposti, e con ancora indosso le ciabatte e il grembiule. Raggiunse gli altri compaesani che stavano camminando lungo la strada. Quella sera il ballo del soldo avrebbe avuto luogo nell'adiacente paese di Le Grotte. Quella danza era chiamata così perché prevedeva al centro della pista la presenza di due uomini che, in piedi schiena contro schiena, raccoglievano per conto dei musicisti, un soldo per ogni giro di danza da tutti i ballerini maschi, ai quali tendevano l'incavo di un cappello. Quella sera incontrò Carlo. Sapeva che era il figlio di Giacomo Paolucci e Augusta Giumini di Montelabbate, ma non si erano mai parlati. Aveva una bicicletta così poteva partecipare a tutte le feste dei dintorni. Non era un ragazzo alto, lo era appena più di lei, ma era proprio affascinante. I suoi capelli neri, pettinati all'indietro, erano folti e ondulati, aveva i baffi. Maria pensava fosse un giovane gaudente e sospettava conoscesse un discreto numero di ragazze. Quella sera Carlo spese molte monete per danzare con Maria malgrado lei, muovendosi, continuasse a perdere le ciabatte.

 

La sera successiva non fu solo la musica a renderla impaziente di andare a ballare... Indossò un abito pulito e si sistemò i capelli accuratamente. Deliziato da tale visione, proprio come la sera precedente, le chiese continuamente di ballare. Questa volta lei indossava scarpe che le calzavano perfettamente. Dopo il carnevale, Carlo passò a casa Barbieri ogni domenica pomeriggio. Prima di conoscere Maria, aveva pianificato di partire per l'America, così iniziò ad includere anche lei nei suoi progetti. Riconosceva in lei tutte le qualità che desiderava nella sua futura consorte: la sua ineccepibile reputazione la rendeva una donna virtuosa ed era noto il buon nome della sua famiglia, composta da persone rispettabili dalla fama di grandi lavoratori. Ricordava, inoltre, con quanta gioia avesse danzato con lui. Maria aveva capelli scuri come il caffè e la sua pelle era di un rosa-beige che in estate diventava olivastra; la sua corporatura era robusta ed aveva abbastanza carne da rivelare buona salute e garantire resistenza, sia alle penurie del viaggio sia alle difficoltà di un nuovo inizio.

 

A fine giugno i documenti per l'immigrazione di Carlo furono pronti. Prima della sua partenza, Carlo chiese la mano di Maria a lei e ai suoi genitori, poi le disse "Tornerò se le cose dovessero mettersi male, ma se tutto andrà bene ti manderò i documenti necessari affinchè tu mi possa raggiungere". Maria accettò, mettendo il suo futuro nelle mani di Carlo e del destino che questi avrebbe avuto in California; non aveva neppure idea di dove si trovasse la California, sapeva solo che avrebbe dovuto attraversare l'oceano tanto era lontana. "Come ero innocente*." osservò dopo aver affrontato il viaggio. Nonostante la sua innocenza, o forse grazie a essa, undici mesi più tardi, nel maggio del 1921, salpò da Napoli per iniziare la sua nuova vita a San Francisco, con Carlo.

 

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