EREMO DEI FRATI BIANCHI

Testo e fotografie

  LOCALITA'   ALTA VALLE DEL POTENZA

AN

Regione Marche Ass.Turismo
  TEMPO DI PERCORRENZA   15 MINUTI A PIEDI (SOLO ANDATA)

E

 
  SEGNALETICA   SENTIERO GUIDATO  
  GRADO DI DIFFICOLTA'   ESCURSIONISTICO  

 

COME ARRIVARE

 

Si prende a Falconara Marittima la Superstrada 76 Jesi -Roma e si esce ad Apiro - Mergo; si prosegue per Apiro e dopo 2 km, in contrada Esinante, si imbocca a sinistra una strada sterrata, in corrispondenza di un cartello con le indicazioni per raggiungere l'eremo. Si parcheggia nei pressi di una sbarra e si prosegue a piedi seguendo il corso del Fosso del Corvo, fino ad arrivare al convento.


DESCRIZIONE

 
 

II complesso, abbandonato dai monaci Coronesi nel 1927 ed ora in completa rovina, sorge tra Cupramontana e Poggio Cupro in una piccola valle ricca di vegetazione, tutelata come area floristica protetta (sono 140 le specie presenti, di cui alcune rare) e attraversata da un ruscello detto Fosso del Corvo (da cui Valle dei Corvi). La struttura architettonica è articolata in numerosi ambienti, molti dei quali scavati nella pietra arenaria: particolarmente degni di nota sono il raccolto chiostro con un'antica meridiana, la cantina con un torchio provvisto di un originale sistema di pigiatura, il lavatoio dotato di sei vasche, il vecchio mulino, la foresteria, la sala capitolare, l'elegante biblioteca nel cui soffitto dipinto è raffigurata la rosa dei venti e le due piccole chiese decorate con stucchi e pitture murali interamente scavate nella parete rocciosa.
L'aspetto attuale dell'eremo è, in gran parte, quello lasciato dal Priore Apollonio Turchi, autore dell'ampliamento e della ristrutturazione effettuata nel 1785, epoca in cui venne edificato il corpo di fabbrica parallelo al rivo di fon-dovalle e dotato di celle in muratura per i monaci; nello stesso periodo vennero pure ridotte le due grotte sovrapposte in un unico locale che diverrà la nuova Chiesa dedicata a San Giuseppe affiancata a quella vecchia dedicata a San Romualdo. Nel 1826, dopo l'abbandono dell'eremo a seguito delle soppressioni napoleoniche, vennero decorate con pitture murali e stucchi la chiesa, la foresteria, la biblioteca e la sala capitolare.

PER SAPERNE DI PIU'

 
 

Gli Annali Camaldolesi e la presenza di una fonte recante il suo nome, indicano in San Romualdo il fondatore delle prime celle scavate nella roccia. Da fonti documentarie si apprende che nel 1294 Giuntolo da Poggio Cupro donò la parete tufacea all'eremita Giovanni Maris che già da anni vi abitava al riparo di una grotta alta 10 m da terra. A lui successe, fino al 1320 e senza mai uscire dal suo romitorio, l'eremita Matteo Sabbatini che assistette il suo predecessore negli ultimi anni della sua esistenza. In seguito, dal 1420 al 1466, le grotte costituirono un sicuro rifugio per i fraticelli, francescani spirituali, perseguitati perché considerati eretici. Nel 1509 il sito entrò in possesso del Beato Antonio da Recanati al quale si deve l'edificazione di una chiesetta nel cui altare venne collocata una pregevole terracotta invetriata della bottega dei Della Robbia (oggi esposta nell'atrio del Palazzo della Signoria a Tesi). Fu il Beato Antonio a donare il luogo al Capitolo Generale dell'Ordine Camaldolese al quale apparteneva il Beato Paolo Giustiniani, nobile veneziano che, desideroso di ripristinare l'antico rigore eremitico, giunto alle grotte, vi soggiornò a lungo e, dopo aver fondato la compagnia di San Romualdo (che alla sua morte cambiò nome in quello di Eremiti Coronesi dal complesso eremitico sul Monte Corona), vi stabilì l'eremo principale. Da allora gli eremiti delle Grotte, meglio conosciuti dalla gente del posto come Frati Bianchi (dal colore del saio, diverso da quello dei Frati Neri del vicino Convento di San Giacomo della Romita), resero il convento una vera oasi di spiritualità fino a quando le soppressioni avvenute con l'Unità d'Italia e l'incuria degli uomini, provocarono le profonde ferite che ancor oggi attendono di essere rimarginate.

 

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