Il maiale e la pista

   
   
UN MACABRO RITO

Quando non esisteva ancora la televisione, l'uccisione del maiale era senz'altro qualcosa di assolutamente sconvolgente nella quotidianità dei bambini di un tempo. Ai più piccini veniva sovente risparmiato uno spettacolo così cruento mentre i più grandicelli aspettavano con trepidazione questo appuntamento annuale per verificare se il proprio coraggio era aumentato rispetto all'anno precedente e a volte si misuravano con i loro coetanei per vedere chi era in grado di assistere più a lungo e più da vicino a questo rito tanto crudele quanto affascinante. Se ne cominciava a parlare già qualche giorno prima poiché bisognava aspettare una giornata sufficientemente fredda da tenere lontane le insidiose mosche che se solo avessero deposto le uova nei prosciutti avrebbero portato alla perdita della parte più preziosa del maiale. Bisognava poi accordarsi con i vicini perché, come la maggior parte dei lavori di campagna, anche per uccidere il maiale e per lavorarne le carni si formava una squadra, composta dai membri di più famiglie confinanti, che si spostava poi di casa in casa. Altre operazioni preparatorie erano quelle di portare ad affilare i coltelli dall'arrotino qualche giorno prima e di preparare le budella per insaccare i salumi. In quei giorni circolavano in casa anche prodotti che non si vedevano per tutto il resto dell'anno quali i pinoli e l'uvetta oltre che grandi quantità di pepe nero in grani. Quando tutto era pronto e le condizioni cli-matiche erano ottimali, si accendeva un grande fuoco e si metteva a bollire l'acqua per "pelare" il maiale in un calderone di rame.

 

Il rito annuale era già iniziato. Oggi, con la normativa sul benessere degli animali, simili efferatezze non sono più possibili e l'agonia del maiale è assai più breve. È importante sottolineare quest'aspetto perché sarebbe sbagliato pensare che ciò che appartiene al passato sia tutto da riproporre tal quale; i progressi siano essi tecnologici o semplicemente normativi come in questo caso fanno parte anch'essi della storia delle nostre produzioni tradizionali e, se rispettosi delle caratteristiche peculiari di ciascun prodotto e dell'ambiente in cui esso viene ottenuto, sono senz'altro da accogliere positivamente. Semmai si può avere nostalgia di un tempo in cui la sofferenza e la morte erano ancora viste con il giusto rispetto e non erano considerate semplice routine o come una fase di un processo produttivo. Ma questo esula dall'ambito prettamente produttivo e attiene maggiormente agli aspetti sociali, etici e culturali della nostra civiltà contadina.

 
DEL MAIALE NON SI BUTTAVA PROPRIO NULLA

Dopo la mattazione, il maiale veniva sezionato in due mezzene che si lasciavano frollare per un paio di giorni, finché le carni non erano pronte per essere lavorate. La lavorazione delle carni e la preparazione degli insaccati è conosciuta nel nostro dialetto con il nome di "pista" e da origine nella Marche ad una moltitudine di prodotti, alcuni dei quali godono di una notorietà straordinaria; altri, invece, sono conosciuti solo a livello locale; altri ancora sono relegati ad un consumo poco più che familiare. Ma, attorno alla "pista" vera e propria, si svolgevano altre operazioni collaterali che permettevano di utilizzare tutte le parti del maiale. Il sangue veniva raccolto e cucinato in padella con cipolla, olio e erbe aromatiche, oppure usato per la preparazione di un dolce. Sì, avete letto bene, proprio un dolce: il migliaccio. si tratta di un dolce diffuso un po' su tutto il territorio regionale soprattutto  nelle zone  interne. Piatto  decisamente   povero che caratterizzava  una  tradizione  contadina e montanara  che

 

 

sapeva ricavare piatti nutrienti e gustosi anche dalle parti meno nobili del maiale. Il nome deriva dal miglio che storicamente veniva usato assai prima della coltivazione del mais per la preparazione della polenta e anche del pane. Oggi il migliaccio non si prepara più con la farina di miglio ma si usa comunemente del pane grattugiato; tuttavia il nome è ormai consolidato e pertanto continueremo a chiamarlo così. Con il tempo si è anche arricchito di qualche ingrediente tanto che oggi definirlo povero sembra poco appropriato in quanto, con qualche variante, possiamo trovare al suo interno: latte, uova, zucchero, miele, cioccolata fondente, alchermes, chicchi di caffè, cannella, noce moscata, buccia di arancia e di limone, mandorle, nocciole, burro ecc... Anche il grasso del maiale godeva della massima considerazione in un periodo in cui non si faceva ancora troppo caso alla linea. Si faceva bollire per 2-3 ore in un caldaio di rame e si filtrava poi attraverso un panno o un sacco di tela in modo da separare la parte liquida da quella solida. La parte liquida, una volta raffreddata, costituiva lo strutto; il condimento di gran lunga più usato sia nella cucina quotidiana sia come ingrediente per i dolci sia come grasso per la frittura (curiosa l'abitudine di utilizzare come "recipiente" per la sua conservazione la vescica del maiale nella quale veniva versato prima di solidificare).

 

La parte solida, invece, rimaneva sul panno che veniva attoreigliato alle estremità e successivamente pressato più volte con apposite "ganasce" di legno per favorire la fuoriuscita della restante parte grassa liquida.A questo punto il contenuto del panno veniva condito con sale, pepe e alloro e fatto raffreddare a temperatura ambiente. Ecco a voi i cicoli, detti anche ciccioli o, nel maceratese, sgrisciuii. Di aspetto asciutto e granuloso, questi piccoli grumi di carne di colore bruno dorato sono ottimi da gustare tal quali o anche particolar-mente indicati per insaporire schiacciate salate e cresce. Un altro esempio classico di come del maiale si utilizzi davvero tutto è rappresentato dalla coppa di testa, conosciuta anche come tortella. L'ingrediente base è costituito, come dice il nome, dalla testa del maiale che si fa bollire per almeno tre ore con la sola aggiunta di sale e di altre parti, ottenute dalla macellazione del suino: ossa, orecchie, codino, zampetti e altre parti, siano esse sanguigne e rosse che cartilaginose. Dopo la cottura, le carni vengono disossate, sminuzzate e impastate rigorosamente a mano. L'impasto viene insaporito con pepe, olive verdi, bucce d'arancio, mistrà, mandorle, pistacchi e pinoli e aromi variabili a seconda del gusto del norcino (di frequente si utilizza l'alloro). Il composto viene quindi raccolto in un panno e pressato per 10-12 ore. Il prodotto finitesi presenta nella tradizionale forma a mattone anche se oggi è sempre più diffusa la forma cilindrica. 

 

 
 

Se poi anche la coppa vi sembra un cibo troppo raffinato, eccovi accontentati. Ultimata la "pista", infatti, per quanta buona volontà si fosse profusa nell'utilizzare con parsimonia tutta la carne utilizzabile per la preparazione di insaccati più o meno nobili, rimanevano comunque le carni più sanguinolente, i pezzi di polmone e di reni, gli intestini, i nervetti, la lingua e altro ancora. Niente paura, tutto ciò troverà posto, opportunamente conciato con sale, pepe, aglio e altri aromi diversi a seconda della zona di produzione, in un ultimo insaccato: il mazzafegato, altrimenti conosciuto come salsiccia matta. Un salume dal sapore deciso che va consumato fresco in quanto non è adatto ad una lunga conservazione ed è ancora diffuso, sia pur limitatamente, in diverse zone della regione. E che dire, infine, dei ciarimboli? In pratica budello di suino bollito, condito ed essiccato. Manco a dirlo, si utilizzano le budella che avanzano dopo aver insaccato tutti i salumi. Vengono rivoltate, lavate con acqua e aceto, lasciate a mollo per una notte e quindi bollite con aceto, alloro, un pizzico di basilico e un pezzette di buccia d'arancia. Una volta scolate, si condiscono con aglio, pepe, sale, semi di finocchio e si mettono a seccare vicino al fuoco per almeno tre giorni, dopodiché i ciarimboli sono pronti per il consumo.

 

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