A ciascuno il suo pecorino

   
   

A pagina 7855 del Bollettino ufficiale della Regione Marche n. 63 del 20 maggio 2002, è riportata la scheda descrittiva di un prodotto denominato "Pecorino". Questa notizia non mancherà di suscitare le ire dei produttori ma anche dei consumatori di questo arcinoto formaggio. Tutti sanno infatti che nelle Marche non esiste uno ma dieci, forse cento tipi di pecorino, ciascuno unico e ogni produttore vi convincerà che il suo è migliore di tutti gli altri. È evidente come la decisione di approntare un'unica scheda vada considerata come il tentativo di identificare una categoria di prodotti, per alcuni aspetti omogenei, senza alcuna pretesa di sintetizzare in poche righe un universo di formaggi che racchiude tutta la diversità dei popoli che hanno abitato in terra marchigiana nel corso di svariati millenni. Ciò che accomuna tutti i pecorini tradizionali è l'uso del latte ovino crudo che va lavorato appena munto. Un tempo, nel territorio comunale di Visso e nelle zone limitrofe, veniva utilizzato il latte della pecora sopravvissana, ora a rischio di estinzione ma un tempo molto diffusa. Il formaggio che se ne traeva era conosciuto anche come pecorino Vissano.

 

 

Ora si utilizza latte di altre razze adattate all'ambiente locale ma Visso, insieme ad altri comuni del comprensorio dei Sibillini, rimane uno dei centri dove si producono i migliori formaggi pecorini delle Marche. Altro fattore comune dei pecorini marchigiani è l'estrema importanza attribuita al caglio. Deve essere naturale (di agnello o di capretto) e di provenienza locale. In alcune zone, soprattutto nei Sibillini ma anche nel Comune di Monte Rinaldo, in provincia di Ascoli Piceno, si usa aromatizzare il caglio con erbe locali e altri ingredienti. In particolare, si utilizzano serpillo, basilico e maggiorana ma anche fichi verdi, germogli di rovo e di buglossa, chiodi di garofano, noce moscata, pepe nero, rosso d'uovo e un cucchiaino di miele. Il tutto si riduce in una pasta da sciogliere nel latte e conferisce al pecorino un aroma particolare e una maggiore digeribilità. La tradizione vuole che la preparazione del caglio sia opera di mani femminili e che avvenga in una giornata serena e senza vento e con la luna in fase calante. Aggiunto il caglio, il latte coagula in 20-30 minuti. La rottura della cagliata si effettua delicatamente con le mani oppure con un apposito attrezzo in legno detto "spino". Le particene avranno la dimensione di una nocciola per il pecorino destinato al consumo fresco e di un chicco di riso per il prodotto destinato alla stagionatura. Dopo averla fatta riposare per qualche minuto, la massa viene messa nelle fascere e pressata con il palmo delle mani per favorire lo spurgo del siero.

 

Per il prodotto stagionato, si effettua generalmente anche una semicottura della cagliata ad una temperatura compresa tra i 45 e i 48 gradi. A questo punto, si passa alla salatura a secco che consiste nel tenere le forme sotto sale per uno o due giorni. Il pecorino viene quindi fatto maturare in un ambiente fresco per almeno venti giorni durante i quali le forme vengono rigirate giornalmente e lavate, a giorni alterni, con acqua e siero. Dopo queste operazioni il formaggio è pronto per essere consumato. Le forme hanno un'altezza media variabile da 6 a 10 centimetri e un diametro di 14-20 mentre il peso medio varia da un chilo fino a due chili e mezzo. La crosta esterna è giallastra mente la pasta è bianca, scarsamente occhiata e dal sapore sapido e pastoso, delicatamente aromatico. Esiste anche, nell'entroterra maceratese, fermano ed ascolano, una tipologia di pecorino con un'occhiatura molto accentuata, da sembrare quasi lievitato, tanto che è conosciuto con il nome di "cascio lievito". Si tratta di un formaggio da consumare abbastanza fresco, dopo una stagionatura di 20-30 giorni. Ma i veri intenditori sanno aspettare e lasceranno stagionare il pecorino fino a quando la crosta non avrà assunto riflessi rossastri e la pasta non sarà divenuta compatta e di colore giallo paglierino. 

 

Non è raro assaggiare formaggi pecorini stagionati anche per più di un anno ottimi sia grattugiati, per insaporire i piatti più svariati, che da gustare a fine pasto con un buon bicchiere di rosso conerò o di rosso piceno superiore. Una curiosità legata all'utilizzo delle forme di pecorino più stagionate è il gioco della ruzzola che si svolge lungo le strade più impervie, rigorosamente non asfaltate, delle nostre colline. È un gioco che richiede, oltre a una certa forza fisica, anche molta abilità in quanto consiste nel tirare le forme di pecorino lungo la strada cercando di farle arrivare più lontano possibile. Il lancio avviene per mezzo di uno spago che viene avvolto lungo il perimetro della forma mentre un'estremità si lega al polso del giocatore. Ogni concorrente effettua più tiri (in genere cinque) e ogni volta bisogna tirare dal punto esatto in cui la ruzzola si è fermata al tiro precedente (un po' come succede nel golf). Sfida dopo sfida si arriva alla sera per celebrare la premiazione. E i premi? Manco a dirlo le forme di pecorino vinte agli avversar!. Il gioco della ruzzola era un tempo molto diffuso ed era, insieme alle bocce, il passatempo preferito delle domeniche pomeriggio di mezza stagione. Oggi sono rimasti pochi anziani a praticarlo e ogni partita ha il sapore di una magica rievocazione.

 

 

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