Serpi, cavallucci e altre creature

   
   

Può essere divertente andare a curiosare tra le migliaia di nomi che vengono utilizzati per designare le produzioni tipiche marchigiane. Spesso lo stesso prodotto viene chiamato con nomi diversi da una zona all'altra della regione ma, a volte, anche famiglie dello stesso paese amano disquisire su quale denominazione sia più appropriata a evocare le caratteristiche (in-trinseche od estrinseche) di un tipo di pasta, di una pizza o di un dolce. Cosicché non mancano i rimandi al regno animale che non lesina certo spunti in grado di stimolare la fantasia dei nostri pasticceri o delle nostre massaie. Non abbiate quindi timore di immergere un cavalluccio in un buon bicchiere di vino cotto oppure di addentare una serpe. E se vi dicono che a Pasqua la serpe diventa agnello, mantenete il vostro self control perché non state per assistere ad alcun evento soprannaturale. Né dovete paventare l'arrivo degli ungaracci perché non di nuovi barbari si tratta o sentirvi minacciati se vi promettono un bel calcione. E se dovesse arrivare il chichiripieno? Meglio ancora! Direbbe uno che sapeva apprezzare le cose buone della vita. Ma andiamo a conoscere meglio queste misteriose creature. La serpe, per cominciare, è un dolce diffuso nelle province di Ancona e Macerata e nella parte settentrionale della provincia di Ascoli Piceno. Arricchisce la tavola nel periodo invernale, in particolare in occasione delle due festività religiose che segnano l'inizio e la fine della brutta stagione: il Natale e la Pasqua.

 

In effetti, la forma di questo dolce ricorda quella di un serpente ed è consuetudine nel periodo pasquale, soprattutto nel maceratese, confezionarlo a forma di agnello e chiamarlo, appunto, con questo nome. L'impasto è formato da mandorle tritate finemente, zucchero e albume d'uovo ai quali si aggiungono liquore e cannella. Il tipo di liquore utilizzato può variare da ricetta a ricetta così come non è costante l'uso della cannella che può essere omessa o sostituita con altri aromi. Una volta modellato secondo la forma desiderata, l'impasto viene guarnito con confettini e cotto al forno per pochi minuti. Dopo la cottura, è frequente l'abitudine di guarnire il prodotto con una glassa composta da albumi montati a neve e zucchero e di farlo asciugare al forno a bassa temperatura. In alternativa, si usa spolverarlo con zucchero a velo a cottura ultimata. La serpe si può consumare fresca ma si presta ottimamente alla conservazione. Basti pensare che un tempo le famiglie di Filottrano (un paese dell'anconetano) preparavano grandi quantità di questi dolci a Natale e ne conservavano alcuni per consumarli in occasione della festa del patrono che cade nel mese di maggio. Grosso modo la stessa, anche se un po' più ristretta verso sud, è la zona di produzione dei cavallucci, dei biscotti a forma di cavalluccio marino, anch'essi tipici del periodo invernale.

 

 
 

La loro preparazione è più complessa rispetto alla serpe richiedendo più tempo e una maggior varietà di ingredienti. Occorre infatti da una lato impastare farina, uova zucchero, olio e vino bianco fino ad ottenere una sfoglia spessa, dall'altro preparare il "ripieno" a base di: sapa, rum o marsala, caffè, noci, mandorle tritate, cioccolato fondente, canditi, uvetta, fichi secchi, cacao amaro e pane grattugiato. I biscotti vengono quindi farciti, modellati e cotti al forno. Varie sono anche in questo caso le possibili guarniture che vanno dalla semplice spruzzatina di ai-chermes con aggiunta di zucchero fino alla glassatura e successiva rifinitura con i confettini colorati. Abbandoniamo ora ogni velleità sistematica e lasciamoci guidare dalla logica della curiosità. Spostiamoci quindi in provincia di Pesaro e Urbino e incontriamo gli ungaracci o ungarucci se vogliamo utilizzare il nome più rassicurante con cui li chiamano a Cantiano. Si tratta di gustosi filoncini lunghi circa 20-30 centimetri costituiti da farina di mais, uvetta, semi di anice, zucchero, acqua, lievito e sale. E passiamo ora ai calcioni. Ce ne sono per tutti i gusti: al forno, ritti, ripieni di pecorino, ma anche di fave o di ceci e, per i più esigenti, anche aromatizzati con l'alloro. Il più famoso di tutti è il calcione di Treia: un disco di pasta sfoglia, spesso un centimetro e dal diametro di circa dieci, con un ripieno di uova, farina, pecorino, zucchero e olio. Si cuoce al forno e si serve sia come dolce che come spuntino, accompagnato da un vino bianco secco o dalla Vernaccia di Serrapetrona che ben si legano al suo sapore dolce e leggermente piccante. Da circa 40 anni, la Sagra del Calcione di Treia è l'appuntamento immancabile della terza domenica di maggio.

 

Di questo prodotto, abbiamo detto, esistono molte varianti sia nella stessa provincia di Macerata, sia in quelle di Ancona, Fermo ed Ascoli Piceno.Una di queste è talmente particolare da meritare una menzione a parte: si tratta del calcione di fava fritto. In pratica, un grosso raviolo composto da una sfoglia di farina e uova ripiena di purea di fave opportunamente dolcificata e aromatizzata. Prima di essere schiacciate, le fave vengono lasciate in ammollo per una notte intera. Dopodiché vengono lessate e ... non dimenticate mai una foglia di alloro. Il calcione viene quindi fritto in olio o strutto bollente. È conosciuta un'ulteriore variante di questo prodotto, diffusa nel territorio di Civitanova Marche dove viene chiamata "lu cicerù", in cui si utilizzano i ceci anziché le fave. Concludiamo questa carrellata con il chichiripieno, detto anche chichì. È un prodotto tipico dell'ascolano, in particolare di Offida e delle aree immediatamente circostanti. Consiste in una focaccia ripiena di peperoni gialli e rossi, carciofini sott'olio, olive verdi, tonno, alici sott'olio, prezzemolo ed eventualmente anche capperi. E se vi sembra poco, considerate che nella focaccia, per renderla più elastica, si aggiunge anche dello strutto. Il tutto viene poi cotto ad alta temperatura, preferibilmente nel forno a legna. Una specialità gustosissima che vi spingerà ad assaggiare uno degli ottimi vini che vengono prodotti in questa zona particolarmente vocata alla vitivinicoltura.

 

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