Frutta con fantasia

   
   

Abbiamo visto che, in termini meramente quantitativi, le Marche non possono vantare grandi produzioni frutticole; tuttavia, almeno per l'autoconsumo, gli alberi da frutto non scarseggiavano di sicuro nelle nostre campagne, sia tra i fi-lari delle viti, sia come piante sparse. Questo, almeno, prima che la meccanizzazione del lavoro agricolo avesse trasformato gli alberi da frutto in ostacoli da abbattere. Oggi abbiamo pertanto qualche frutteto specializzato in più ma abbiamo perso e stiamo rischiando di perdere ancora un patrimonio di biodiversità, di ecotipi e varietà locali davvero straordinario. Le pesche nella Valdaso, le mele rosa nei Sibillini, la pera angelica a Serrungarina, le visciole a Cantiano sono solo alcuni esempi di frutti di altissimo pregio che hanno finito per diventare un tutt'uno con il territorio da cui provengono. Oltre che al consumo fresco, la frutta è stata da sempre destinata anche alla preparazione di marmellate, composte, frutta sciroppata e via dicendo. Ciò, óltre che per la squisitezza di queste preparazioni, per ovviare al fatto che la maturazione avveniva in un periodo piuttosto ristretto dell'anno e che pertanto, non potendo utilizzare tutta la frutta in eccedenza per l'alimentazione degli animali, occorreva salvaguardare questi preziosi doni della terra. Pane e marmellata hanno costituito per generazioni la merenda classica dei bambini prima che la grande industria iniziasse a proporre le "famigerate" merendine. Oltre alle marmellate più comuni, ottenute dalle susine, dalle pesche e dalle albicocche, nelle Marche troviamo delle preparazioni estremamente particolari.

 

 

La prima è la marmellata di pomodori verdi. Questa marmellata viene prodotta prevalentemente nelle zone dell'ascolano e del maceratese, nei mesi di settembre e ottobre. I pomodori preferibilmente della varietà San Marzano, raccolti quando sono ancora verdi, vengono puliti dai semi e liberati dall'acqua di vegetazione, tagliati a pezzi, messi a macerare per 24 ore nello zucchero e un pizzico di sale. Vengono fatti bollire in acqua dopo avere aggiunto un limone tagliato sottilmente, fino a che raggiungono la giusta consistenza. Si mette la confettura nei vasi quando è ancora bollente, si chiude ermeticamente il barattolo riponendolo in luogo buio e fresco. Il prodotto è di colore verde scuro, molto denso e compatto. Il sapore è caratteristico in quanto, rispetto alle altre marmellate, ha un retrogusto piacevolmente aspro. Se vogliamo continuare a parlare di tradizione, gli anziani ci rammentano che una tipica marmellata "di casa", utilizzata tutto l'anno, era quella di "mosto e mele" detta anche "mostarda", utilizzata tutto l'anno poiché era molto economica in quanto veniva realizzata con ingredienti semplici, presenti in tutte le case di campagna; si faceva durante la vendemmia e si portava con il pane nei campi durante la semina e la raccolta delle olive.

 

La marmellata ha un colore bruno intenso, dall'aspetto lucido, dall'odore fruttato tendente al caramello, dal sapore classico di frutta cotta, leggermente amarognolo. Per prepararla occorrono 3 chili di mele scelte per ogni litro di mosto, (particolarmente apprezzato è l'utilizzo delle mele cotogne). Si aggiunge una buccia grattugiata del limone (solo la parte gialla) a fine cottura. Si sbucciano e si tagliano le mele in fettine sottili, aggiungendo un po' di limone per evitare che si scuriscano, si versano nella pentola con il mosto e si fanno bollire a fuoco basso, girando il composto lentamente con il mestolo da quando comincia la bollitura fino a quando il composto non si addensa. Per verificare che la marmellata abbia raggiunto la giusta densità, se ne versa un cucchiaio in un piatto e si accerta che scenda lentamente senza lasciare gocce.

 

 
 

Una marmellata più classica che soddisfa il gusto di tutti i palati è quella di "more". La marmellata è a base di more di rovo, zucchero e limone. E1 particolare l'utilizzo delle more di gelso, in sostituzione di quelle di rovo, riscontrato nel Comune di Macerata. Dell'alta reputazione di cui godevano i fichi abbiamo già parlato a proposito delle lonze e dei torroni. Ma, fra tutti i fichi coltivati nella Marche, i più pregiati erano considerati quelli appartenenti alla varietà "Dottato", tanto pregiati da essere riservati alla "signora" cioè alla moglie del padrone che ai tempi della mezzadria era considerata tra le massime Autorità dello Stato. Pertanto questi fichi erano chiamati "fichi della signora" e la marmellata da essi ricavata non poteva che chiamarsi marmellata di fichi della signora. Ma vediamo come ancora oggi, a Macerata, si prepara questa particolare marmellata. I fichi dopo essere stati sminuzzati vengono messi in una casseruola con pochissima acqua fino a quando il prodotto, parzialmente concentrato, conserva ancora una certa fluidità.

 

Il tutto viene poi chiuso ermeticamente in barattoli di vetro che vengono poi sterilizzati a bagno maria. Il fico è un frutto a bassa acidità pertanto durante la preparazione della marmellata sarà utile unirlo a del limone il quale darà un sapore meno dolce. Dal Montefeltro ci giunge invece un prodotto ancora più particolare: la marmellata di bacche di rosa canina. Questa marmellata si presenta come una purea dal colore rosso-vinaccia con riflessi giallo-dorati. La rosa canina è un arbusto spontaneo, selvatico, vigoroso, eretto e ramoso, alto mediamente da un metro a due metri e mezzo, appartenente alla famiglia delle Rosacee. Le bacche sono globose, di colore rosso vivo, con piccoli peli irritanti. Ricche di vitamina C, pectine e zuccheri, sono acidule e asprigne se acerbe ma, dopo le prime gelate del tardo autunno, assumono un sapore più dolciastro e gradevole. Oltre che per produrre l'omonima marmellata, le bacche di rosa canina finiscono in gelatine, sciroppi e tè, oltre che come aromatizzanti in aceto, vino e infusi vari. Per preparare la marmellata, si raccolgono le bacche dopo la prima gelata, si nettano con cura e si svuotano della peluria interna e dei semi. Si aggiunge miele o zucchero e qualche goccia di limone, lasciando riposare tutta la notte. Il giorno successivo il composto deve essere bollito fino alla completa perdita dell'acqua. Si mette quindi in barattoli di vetro chiusi ermeticamente da conservare al riparo dalla luce. Ancora più rara è la marmellata di cotogne e radici di cicoria, un prodotto originario della zona di Ussita e ormai quasi scomparso, di cui si sta cercando di rilanciare la produzione in un altro comune del maceratese, precisamente a Montecosaro. È una marmellata di colore scuro con riflessi dorati e dal gusto amarognolo. Le mele cotogne e le radici di cicoria vengono pulite, lavate, tagliate a pezzi e mescolate insieme. Dopo aver aggiunto succo di limone e una parte di zucchero, si lascia riposare il tutto per qualche ora e si fa bollire a fuoco lento. Si passa quindi la purea in un setaccio e si procede quindi a completare la cottura. Ancora bollente, si mette nei vasi di vetro, aggiungendo un po' di mistrà o di grappa che si fa ardere. Una volta evaporato l'alcol, si richiude ermeticamente il vaso che va conservato al riparo dalla luce.

 

Le persone anziane ricordano che si usava consumare questa marmellata a fine pasto per favorire la digestione. Sempre per restare in tema di marmellate e affini, troviamo la composta di castagne, prodotta principalmente nelle zone montane della provincia di Pesaro e Urbino. Si presenta come una purea dal sapore molto dolce in cui il gusto della castagna si lega alla perfezione con gli aromi della vaniglia, dell'alloro e dei semi di finocchio. Dallo stesso territorio ci giunge poi la cotognata. Essa si prepara tagliando in quattro le mele cotogne precedentemente lavate e sbucciate. I quarti così ottenuti vengono posti in un recipiente con acqua e limone per evitare l'ossidazione. Si cuoce quindi la frutta in acqua alla quale si aggiunge della buccia di limone grattugiata. Una volta cotta, la frutta viene passata al setaccio, dopodiché si aggiunge una quantità di zucchero pari al peso del composto ottenuto. Viene quindi ultimata la cottura mescolando spesso per favorire l'evaporazione dell'acqua. Terminata la cottura, si ottiene una purea densa che va versata in forme ed asciugata al sole o, comunque, in un ambiente caldo.

 

 

 

La si può anche stendere su un piano di marmo o di acciaio, a formare uno strato di un centimetro di spessore, ricoperta di zucchero. Quando la composta è ben asciutta, la si taglia in porzioni generalmente rettangolari o a losanga e si può conservare per diverso tempo in scatole di latta o in barattoli di vetro al riparo dall'umidità. A fine stagione, rimaneva comunque della frutta che non era stata utilizzata; prevalentemente mele e pere, ma anche fichi secchi, uva e quant'altro rimaneva in dispensa. Sempre con l'intento di utilizzare tutto ciò che la terra era in grado di produrre, i nostri antenati si erano ingegnati e avevano ideato questo prodotto che ancora oggi è possibile trovare nel maceratese: il misto di fine stagione che si prepara nel periodo invernale. Si tratta di una composta ottenuta aggiungendo alle mele, alle pere, ai fichi secchi, all'uva e agli altri frutti disponibili, arance e limoni tritati finemente.

 

L'aggiunta degli agrumi, che tra l'altro rappresentano l'unica frutta di stagione nel misto di fine stagione, conferisce un aroma caratteristico e un retrogusto leggermente amaro che rendono particolarmente stuzzicante questa composta. Un'altra preparazione piuttosto diffusa che permette di conservare la frutta anche per molti mesi è rappresentata dall'aggiunta dello sciroppo di zucchero. La frutta viene messa in barattoli di vetro insieme allo sciroppo di acqua e zucchero "preparato in precedenza. Una volta chiusi ermeticamente, i barattoli vengono fatti cuocere a bagno maria per un tempo variabile a seconda del tipo di frutta e della sua pezzatura. Questo procedimento viene utilizzato per la maggior parte delle tipologie di frutta presenti sul nostro territorio. Due di questi prodotti sono talmente particolari che sono entrati a far parte dell'elenco dei prodotti tradizionali. Il primo è rappresentato dalle bacche di biancospino in sciroppo, preparate in autunno nell'entroterra della provincia di Pesaro e Urbino e aromatizzate con cannella e chiodi di garofano. Ci sono poi i lamponi sciroppati: una vera delizia caratteristica di Matelica ma diffusa anche in altre zone montane. Si possono gustare in diversi modi: qualcuno li preferisce "al naturale", altri li trovano deliziosi sul gelato, altri ancora li utilizzano per preparare crostate e torte fatte in casa. Dai monti al litorale pesarese per concludere la nostra carrellata sui prodotti a base di frutta con una grattamarianna: una rinfrescante granita prodotta con le gustosissime pesche di Montelabbate alle quali di aggiungono zucchero e acqua. A differenza delle altre granite, pertanto, non vi è aggiunta di ghiaccio, per cui la grattamarianna risulta estremamente cremosa. Curiosa anche la vendita di questo prodotto che avviene ancora nel tradizionale carrettino a pedali tipo "vecchio gelataio".

 

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