I prodotti del bosco, del sottobosco e... del sottosuolo

   
   

Tipico prodotto delle zone interne, il marrone trova il suo habitat tra i 300 e 950 metri sul livello del mare. Tra i vari tipi di marroni esistenti, ' tre sono inseriti nell'elenco dei prodotti tradizionali: il marrone di Acquasanta Terme, il marrone di Roccafluvione e il marrone del Montefeltro. I primi due sono caratteristici dell'ascolano, con maggiore diffusione nei due comuni che danno loro il nome: Acquasanta Terme e Roccafluvione. Quello di Acquasanta è più grande e si presenta bruno scuro con sfumature rossastre, mentre quello di Roccafluvione è marrone avana, con sfumature giallastre. Il marrone acquasantano è inoltre più dolce e si sbuccia più facilmente. Ultima differenza, infine, che distingue il clone di Acquasanta dagli altri delle zone circostanti, è l'altezza decisamente maggiore degli alberi. Il marrone del Montefeltro, invece, si ottiene dalla varietà locale detta "Gentile", particolar-mente diffusa nell'alta Valmarecchia. In particolare sono presenti due cloni (Botticella e Monte San Benedetto) che presentano le seguenti caratteristiche: pianta di media grandezza e vigore, rami espansi e chioma a globo. Il tronco è di colore grigiastro con numerose lenticelle grandi, rilevate biancastre o grigiastre. Il riccio si presenta grande, con tre frutti di pezzatura medio-grande con pericarpo marrone e striature scure rilevate. La presenza di castagneti ultra secolari attesta la presenza di questo prodotto già in epoca piuttosto remota. Si fa infatti risalire l'introduzione di questa coltura all'attività di alcuni ordini monastici in epoca medievale.

 
 

Sempre nel Montefeltro, troviamo altri prodotti molto singolari: si tratta dei germogli di pungitopo, di tamaro e di vitalba conservati sott'olio. Tutti e tre sono preparati in primavera per essere poi consumati durante il resto dell'anno. I germogli di pungitopo, raccolti nei boschi e nelle macchie, si scottano in acqua e aceto legger-mente salata. Fatti asciugare per qualche ora, vengono speziati e messi sott'olio in barattoli chiusi ermeticamente. Hanno un gusto gradevolmente amaro che li rende estremamente appetitosi. Nei germogli primaverili del tamaro il sapore amaro è ben più marcato, tanto da non renderli graditi a tutti i palati. Per attenuare questa caratteristica, vengono associati con altre erbe aromatiche da! gusto più mite. La preparazione è simile a quella dei germogli di pungitopo con la differenza che la scottatura avviene in aceto diluito con vino. Inoltre, nella preparazione, è sempre previsto l'uso dell'aglio. La preparazione dei germogli di vitalba sott'olio è invece la seguente. Si tagliano i germogli in pezzi di due o tre centimetri che vengono messi a bagno con acqua e succo di limone. Si fanno poi cuocere nell'olio con sale, pepe, aglio e prezzemolo e, a cottura ultimata, si mettono in barattolo. Ma i veri gioielli dell'entroterra marchigiano sono ben nascosti e solo pochi esperti sono in grado di scovarli. E bisogna rivolgersi ad esperti a quattro zampe: i cani da tartufo; solo loro ci permettono di deliziarci di queste autentici tesori che già i Babilonesi conoscevano bene 5.000 anni fa o giù di lì. Scientificamente, questi oggetti misteriosi sono definiti come i corpi fruttiferi di funghi ipogei che vivono e si sviluppano sottoterra in simbiosi mutualistica con l'apparato radicale di alcune piante arboree.

 

Prodotto spontaneo per eccellenza, il tartufo, a causa del suo elevatissimo valore di mercato, è stato oggetto, nel secolo scorso, di approfonditi studi e ricerche mirati all'individuazione di tecniche che ne rendessero possibile la coltivazione. In effetti, non si tratta di una coltivazione come siamo abituati ad intenderla tradizionalmente in quanto la tartuficoltura consiste nel creare le migliori condizioni possibili per consentire lo sviluppo dei tartufi attraverso la messa a dimora di piante "tartufi-gene", ovvero micorrizate in laboratorio. Sin dalla nascita della tartuficoltura, di cui nelle Marche si parlava già nel lontano 1932, la nostra è sempre stata una regione leader nel settore. Come non ricordare, ad esempio, le numerose tartufaie coltivate e realizzate da Lorenzo Mannozzi-Torini, il precursore della moderna tartuficoltura.

 

 

Molte di esse sono ancora produttive, soprattutto nelle zone marginali dell'en-troterra (Acqualagna, Cagli, Fabriano, Arcevia, Sassoferrato, Visso). Dal 1980, è inoltre in funzione il Centro sperimentale per la tartuficoltura di Sant'Angelo in Vado. Tutto questo interesse verso il tartufo si spiega con il fatto che le Marche sono una delle poche regioni italiane a poter vantare una buona produzione di tutte le specie di tartufo più significative. Innanzitutto, il re dei tartufi, il tartufo bianco pregiato, il cui nome scientifico "Tuber ma-gnatum Pico" (dei magnati) indica tutta la nobiltà di questo prodotto. È diffuso principalmente in provincia di Pesaro-Urbino (con i centri più rappresentativi ad Acqualagna, Sant'Angelo in Vado e Sant'Agata Feltria) ma fa registrare presenze significative anche nelle altre province (Amandola e Montefortino nel fermano e Venarotta nell'ascolano, Arcevia e Fabriano nell'anconetano, Sarnano in provincia di Macerata). Tra le specie simbionti, predilige la roverella, ma sono utilizzate anche altre piante come il cerro, il tiglio, la farnia, il salice ed il pioppo. E pensare che a vederlo ... è proprio vero che l'apparenza inganna. Con il suo aspetto irregolare, la pezzatura assai variabile, il colore giallo ocra, a volte con riflessi olivastri fino ad arrivare al grigio verdastro, deve aver insinuato più di un dubbio in chi per primo ha osato verificarne l'edibilità. Non che l'aspetto sia molto diverso quando parliamo di tartufo nero. Generalmente più piccolo del bianco, il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vitt), è diffuso soprattutto nelle province di Pesaro-Urbino (Acqualagna e Cagli) e Macerata (Camerino, Montecavallo, Fiordimonte e Visso). Non trascurabile la sua presenza anche a Roccafluvione (AP), Comunanza (AP) e Sassoferrato (AN).

 

Il tartufo nero estivo o scorzone (Tuber aestivum Vitt.) può raggiungere, invece, pezzature molto significative (anche fino a mezzo chilo). I suoi maggiori centri di diffusione sono in provincia di Ascoli Piceno (Colle San Marco), Macerata (Pievebovigliana e Muccia) e Pesaro-Urbino (Mercatello sul Metauro e Carpegna). Oltre alla roverella, per il tartufo nero si utilizzano con buoni risultati il nocciolo, il carpino ed il leccio. Sia il tartufo bianco che il nero caratterizzano da sempre la cucina marchigiana. Tra i maggiori estimatori dei tartufi di casa nostra troviamo Gioacchino Rossini che, tra una Semiramide ed un Guglielmo Teli, si dilettava tra i fornelli con risultati, a detta dei suoi fortunati ospiti, davvero eccellenti. Egli confessò di aver pianto tre volte nella sua vita: quando venne fischiata la sua prima opera, quando sentì suonare Paganini e quando gli cadde in acqua un tacchino farcito ai tartufi durante una gita in barca.

 

 

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