La ricchezza della povertà

   
   
 

Ci sono alcuni prodotti di questa sezione per i quali calza alla perfezione l'esclamazione ammirata che Faust pronuncia di fronte alla dimora casta e pura dell'amata "Quanta ricchezza in questa povertà". Cosa c'è infatti di più povero della cicerchia, o del farro, o ancora della roveja? E allo stesso tempo, quanta ricchezza come patrimonio genetico, storico, culturale è racchiusa in questi prodotti? Leguminosa da granella rustica, adattabile anche a terreni poveri e alle condizioni climatiche più sfavorevoli, resistente alla siccità ma anche alle basse temperature, la cicerchia è stata oggetto nelle Marche di una vera e propria riscoperta. Già piuttosto diffusa nel '600 come risulta da testimonianze rinvenute negli archivi storici di Belvedere Ostrense e Serra de' Conti, la cicerchia aveva progressivamente lasciato il campo, nel vero senso della parola, ad altre colture più "nobili". Ma da diversi anni, vuoi per il gusto semplice e antico, vuoi per le riconosciute qualità nutrizionali dovute all'elevato apporto proteico e al basso contenuto di grassi o, ancora, per l'adattabilità ai metodi dell'agricoltura biologica, la coltivazione della cicerchia è in forte aumento. Non è stato, tuttavia, un semplice ritorno al passato perché nella reintroduzione della cicerchia si è tenuto conto anche dei progressi fatti registrare nel campo della selezione varietale. Un inconveniente non trascurabile era infatti rappresentato dalla latirina, un principio amaro, contenuto in questo legume, che costringeva, prima della cottura, ad effettuare lunghe macerazioni in acqua salata e ripetute bolliture con frequenti cambi d'acqua. Col tempo sono state selezionate varietà più dolci, prive di questo principio amaro, che hanno notevolmente semplificato il modo di cucinare la cicerchia. Per cui oggi è sempre più frequente trovare, sia negli agriturismi che nei ristoranti delle aree rurali, gustose zuppe a base di cicerchia, sia da sola che abbinata a ceci, farro, fagioli borlotti e cannellini. 

 

Chi poi volesse conoscere piatti più fantasiosi sempre preparati con questo straordinario legume, può recarsi a Serra dei Conti dove, tra le mura medievali, si svolge  annualmente, alla fine di novembre,  la Festa della cicerchia. Molte delle considerazioni fatte per la cicerchia valgono anche per il farro. Anch'esso oggetto di una recente riscoperta, è anch'esso rustico e adattabile e pertanto ideale per la coltivazione con il metodo biologico. Anche target dei consumatori è lo stesso: gente che oltre a ricercare i sapori semplici "di una volta" è allo stesso tempo attenta alfa salubrità degli alimenti che acquista. Più ampia è invece la gamma degli utilizzi in quanto questo cereale si usa anche per la produzione di farina, per cui si trovano con una certa facilità, nei negozi specializzati, pane, pasta e biscotti contenenti farina di farro. Tale è l'interesse suscitato dal farro che a San Lorenzo in Campo, un piccolo comune situato lungo la Valle del fiume Cesano, grosso modo a metà strada tra Maretta e Cagli, è stata inaugurata la prima farroteca d'Italia, dove è possibile degustare, dall'antipasto al dolce, una serie di squisitezze tutte rigorosamente a base di farro. Passando ad un altro cereale, troviamo l'orzo mondo. È un orzo "nudo", una varietà pregiata caratterizzata dal fatto che i rivestimenti glumeali (lemma e palea) si separano completamente a maturità. Il pericarpo, non avendo protezione, risulta così meno compresso e più robusto. Eseguite le operazioni di svecciatura e ventilazione, l'orzo mondo viene torrefatto e macinato.

 

È così pronta la materia prima per la preparazione di una bella tazza di "caffè d'orzo". Questo succedaneo del caffè, adatto anche ai bambini, era una volta largamente consumato, preferibilmente la sera prima di andare a letto, ma anche la mattina a colazione, mescolato con il latte. Dopo qualche anno in cui era caduto un po' in disuso, l'orzo ha conosciuto una vera e propria riscoperta, tanto che ora è in grado di sfidare il caffè anche sul suo campo. Non c'è ormai bar o ristorante, infatti, dove non si possa ordinare un orzo "espresso" È molto apprezzato anche nella versione aromatizzata con semi di anice. Restando in tema di cereali e di prodotti poveri, troviamo la farina con cui si prepara la polenta. In particolare vale la pena soffermarsi sulla farina di granturco quarantino del maceratese. Questo mais appartiene ad una varietà locale a impollinazione libera tradizionale. Il mais "nostrano", così viene definito comunemente il granturco quarantino, era già conosciuto nel maceratese già nei secoli XVI e XVII come testimoniato da documentazione dell'epoca sugli scambi commerciali conservata presso l'Accademia Georgica di Treia. In quel periodo non erano ancora comparsi termini come "ibrido" e "geneticamente modificato". Una coltivazione antica, quindi, legata alle antiche tradizioni popolari contadine come, ad esempio, "lo scartoccia".

 

 

Questa operazione, consistente nella pulizia delle cosiddette pannocchie dalle brattee, si effettuava un tempo manualmente e rappresentava un momento di incontro e di socializzazione tra gli abitanti della campagna. Si "scartocciava" nell'aia e, al suono dell'organetto, si ballava il saltarello marchigiano. Oggi abbiamo bisogno di tenere ben distinto il lavoro dal tempo libero e abbiamo perso questa capacità di coniugare lavoro e divertimento. Ma ciò che abbiamo perso veramente è la filosofia dei nostri antenati, che sapevano godere della semplicità e delle piccole cose della vita di ogni giorno. Ma la polenta non si fa solo con la farina di mais. Nel comprensorio dei Monti Sibillini, si coltivano infatti piccoli appezzamenti di roveja, un pisello selvatico dal seme di color marroncino, tendente al giallo, da cui si ricava una farina che viene appunto utilizzata per la preparazione di una particolare polenta, detta "farrocchiata" o "farecchiata". È un piatto dal gusto intenso, lievemente amarognolo, che si condisce tradizionalmente con un battuto di alici, aglio e olio extravergine di oliva. Ottima anche il giorno dopo, affettata e abbrustolita in padella.

 

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