Il vino cotto

   
   

Sempre per restare in tema di prodotti di difficile classificazione, eccoci al vino cotto. Le prime notizie sulla presenza di vino cotto nel Piceno risalgono circa al 200 a.c., precedendo quindi di qualche anno la regolamentazione comunitaria e nazionale sia in materia di prodotti vitivinicoli che di prodotti tipici e a denominazione di origine. Probabilmente, gli antichi romani non si interessavano più di tanto al dibattito sulla natura merceologica di questo prodotto e sulla denominazione di vendita più consona ad esso. Nel 70 d.c. Plinio parlava dei vini dolci e, riferendosi ai cotti, ne esaltava le qualità dicendo che "hanno il sapor loro e non quel del vino" e che sono "opera d'ingegno e non di natura, cuocendosi il mosto sin che è consumato il terzo della sua quantità" Anche Virgilio ci descrive la preparazione del vino cotto, soffermandosi sulla schiumatura che veniva effettuata con un ramo fogliato e precisando che la concentrazione del mosto avveniva in un paiolo di rame. La presenza di vini cotti ne lla nostra Regione, in epoche successive, è attestata dal bottigliere di Papa Paolo III Farnese, Sante Lacerio. Egli asseriva che nelle Marche non vi erano buoni vini, ma tristissimi cotti (Garoglio- La nuova enologia). Salvo poi spezzare una lancia a favore del "vino cotto et grande" di San Severino e di quello di Macerata (Orlandini - In difesa del vino cotto). Quindi, nelle Marche del 1500, esistevano vini cotti eccelsi accanto ad altri di infima qualità. Testimonianze più recenti ci sono fornite da un articolo dell'Eco del Tronto del 23 dicembre 1868, che parla della tradizione picena di cuocere il vino per difenderlo dall'acidificazione, e dall'opuscolo "I vini cotti e l'enologia picena" pubblicato dal Dott Silvio Laureti della Cattedra ambulante del Circondario di Ascoli Piceno.

 

 

Arriviamo infine ai giorni nostri e registriamo, per questo prodotto, illustri menzioni come quelle che ne hanno fatto Mario Soldati e Luigi Veronelli. Oggi, dopo 2200 anni di storia, la situazione del vino cotto non è delle migliori. Da un lato, il mercato di quello che, in nome della normativa vigente, si dovrebbe chiamare "mosto concentrato a fuoco diretto" è divenuto sommerso, potremmo dire semiclandestino, basato sul passaparola e sulla diretta conoscenza dei singoli produttori. Dall'altro, bisogna prendere atto di come la qualità incostante di cui ci narrava Sante Lacerio mm esista ancora. Ed è un vero peccato, perché i migliori vini cotti hanno delle caratteristiche organolettiche a dir poco eccezionali, a prescindere dal fatto che possano o meno essere definiti vini. La Regione Marche si impegna da anni per dare un futuro a questo prodotto; tant'è, che oltre ad averlo inserito nell'elenco  dei prodotti  tradizionali ha previsto  anche aiuti specifici per la sua produzione all'interno del Piano di Sviluppo Rurale approvato dalla Comunità Europea per il periodo 2000-2006. 

 

È stato inoltre finanziato uno specifico progetto all'Assalti (Agenzia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche) finalizzato ad individuare standard igienico-sanitari ottimali, a definire i requisiti qualitativi del prodotto, ad omogeneizzare le varie tecniche produttive attualmente esistenti sul territorio e a redigere, infine, un disciplinare di produzione. Si è scelto quindi un percorso articolato e rigoroso per valorizzare questo prodotto e farlo uscire dalla clandestinità, nella consapevolezza che il rilancio del vino cotto può avvenire solo in presenza di elevati standard qualitativi e igienico-sanitari. La zona di produzione del vino cotto è molto estesa e comprende gran parte delle province di Macerata, Fermo ed Ascoli Piceno. Loro Piceno, in particolare, che da quasi trent'anni organizza la Sagra del vino cotto, può esserne considerata la patria. Attualmente, il vino cotto si prepara indifferentemente partendo da uve bianche o da uve rosse. Il mosto si fa bollire lentamente in calderoni di rame anche se, recentemente, si stanno effettuando anche delle prove in acciaio per verificare la possibilità di ottenere validi risultati coniugando tradizione e tecnologia. Durante la bollitura, bisogna procedere continuamente a "schiumare" il mosto, ad eliminare, cioè, quella schiuma superficiale costituita dalle sostanze proteiche rese insolubili dall'alta temperatura.

 

 

 

In questa fase, si determina una maggiore concentrazione zuccherina e il mosto acquisisce note aromatiche caratteristiche. Si usa anche aggiungere, come aromatizzanti, delle mele cotogne. Per ottenere il classico vino cotto dolce, si fa ridurre la quantità iniziale di mosto in una percentuale variabile tra il 30 e il 50%. Se invece si preferisce un prodotto più secco, basta ridurre opportunamente la durata della bollitura. A concentrazione ultimata si versa il mosto nelle botti di legno dove avverrà la fermentazione. Successivamente, al fine di eliminare il materiale feccioso, possono essere effettuati uno o più travasi. L'invecchiamento avviene in botti di piccole dimensioni e dura almeno un anno, ma può protrarsi anche molto più a lungo. È molto diffusa la pratica del rimbocco che consiste nell'unire il vino cotto nuovo a quello degli anni precedenti. Varie sono pertanto le tipologie di vino cotto, ottenute con tecniche diverse da zona, partendo da uve diverse. Qual è dunque il vero vino cotto? Un raffronto tra diversi campioni di prodotto effettuato nell'ambito dello studio finanziato dalla Regione Marche, ci fornisce delle indicazioni piuttosto interessanti al riguardo. Innanzitutto, è stato osservato che i profili sensoriali più gradevoli appartengono a quei prodotti per i quali è stata praticata una concentrazione non troppo spinta, (non superiore al 30 - 35%). Per quanto riguarda invece la gradazione alcolica ideale, essa deve attestarsi tra i 12 e i 15 gradi. Il residuo zuccherino, infine, può oscillare tra il 10% e il 20%. La combinazione di questi tre elementi è possibile solo se la gradazione zuccherina delle uve dalle quali si ottiene il prodotto è sufficientemente alta. Rimane la parte più piacevole, quella degli abbinamenti a tavola. La versione secca viene, in genere, utilizzata come vino da pasto e gli accostamenti con le pietanze varieranno a seconda del suo grado di concentrazione e del suo tenore alcolico. La versione dolce, invece, è da considerare, a tutti gli effetti, un "vino da dessert", perfetto con crostate, ciambelloni, biscotti e con i dolci rustici della "bassa marca". 

 

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