GRADARA Parte Terza


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I LEGATI PONTIFICI
 

 

Con la devoluzione definitiva del castello alla Santa Sede, inizierà per Gradara un lungo periodo di immobilità metafisica, e la vita fluirà lenta sotto la vigile presenza dei legati pontifici. Chi ebbe il privilegio dell'investitura usò il castello come residenza estiva e pur corrispondendo un canone simbolico, non provvide, salvo rare eccezioni, ad eseguire i promessi lavori di restauro. E la Rocca, dopo essere passata ad Alfonso Santinelli, agli Hondedei di Pesaro, al Cardinale Alessandro Albani ed all'Abate Luigi Ronconi, Clemente XIV, un Ganganelli di 5. Angelo in Vado con breve del 7/711773 la consegnerà in enfiteusi al Marchese Carlo MoscaBarzi. Nulla è da cambiare a quanto scrivemmo anni fa in "Pagine sparse di storia paesana"... Questa scelta fu veramente provvidenziale per Gradara e dintorni, non tanto per alcuni lavori che il marchese esegui nella Rocca e nella Chiesa di S. Giovanni Battista, quanto per aver sollecitato l'Olivieri, l'illustre storico Pesarese, a radunare le sparse fronde, e quindi dar alle stampe le "Memorie di Gradara". Dovevano passare due secoli prima che Gradara ritrovasse degni cantori; ci riferiamo al Campana e al Michelini Tocci. 

 

Ultimamente questi con accenti poetici ha celebrato Gradara come pochi, e poiché il suo grande e bel volume è esaurito, approfittiamo dell'ospitalità per riportare alcune note che serviranno anche da intermezzo al nostro racconto storico: "Gradara: una rocca abbarbicata su un culmine, un girone come si diceva in antico, o, meglio un palazzo-fortezza, un grande palazzo fortificato, irto di torrioni e merli, disteso sulla cresta della collina con una sorta di armata e vigile mollezza, come una fiera in riposo, ma pronta a slanciarsi.

 

Questo è l'aspetto del castello che si presenta a chi guarda da levante, cioè dalla parte del mare... A Gradara ti è dato di cogliere ancora la freschezza di una civiltà corrusca, antica e talora immatura, contraddittoria e insieme capace di grandi sintesi, delicata e cruda nello stesso tempo, come una ballata di maestro Vi/bn... Oggi vedi le mura di laterizio abbracciare la Rocca come un monile in torno ad un bel collo femminile e penderne mollemente, al sole che le riscalda insieme con le wgne rigogliose e i fieni fra gran ti, e le querce che fremono al non lontano respiro del mare... Gradara dimora della cavalleria e della vita cortese... Durante la guerra per la successione austriaca, negli anni 1743-1745 Gradara assistette al passaggio, alle scaramucce e ancora al ritorno delle truppe spagnole e napoletane da una parte e di quelle austro-sarde dall'altra. Più volte compare il nome di Campo Quadro, grande pianura ai piedi del colle di Gradara, nelle cronache dell'epoca. Due secoli dopo si assisterà al passaggio dei tedeschi in guerra con gli anglo-franco-americani (V e VIII Armata). Nel 1797 le truppe napoleoniche fecero il loro rovinoso ingresso in Gradara. Le offese recate alla Pala Robbiana sono descritte separatamente. Quello che non poté essere saccheggiato fu devastato, furono cosi distrutti alcuni grandi camini, infrante insegne, deturpati gli affreschi. Nella Repubblica Cisalpina Gradara entrò a far parte del Dipartimento del Rubicone, come capoluogo della comunità comprendente Gabicce, Castel di Mezzo, Fiorenzuola, Granarola, Pozzo, Monteluro, Tomba.

 

Col Regno Italico venne inclusa nel Dipartimento del Metauro. Dopo la caduta di Napoleone nel 1815, ritornò il potere temporale nella persona di Pio VII e il paese entrò a far parte della delegazione di Pesaro-Urbino. Gradara contava 1235 abitanti. La Rocca venne ceduta il 23 marzo 1831 in enfiteusi al Marchese Carlo Cardani-Calabrini di Roma. Finalmente la Camera Apostolica con strumento del 27/4/1860 cederà la Rocca allo stesso comune di Gradara per il canone annuo di 2 libbre di cera lavorata. Nel 1877 passò al Conte Morandi-Bonacossi e da questi nel 1920 all'ing. Umberto Zanvettori. La pregevole Armeria di circa 6.000 pezzi, fu trasferita a Castel 5. Angelo in Roma dando origine a quella Raccolta. Nei depositi, e mai esposte al pubblico, giacciono tante armi antiche provenienti da Gradara. Ora che la Rocca malatestiana è passata in proprietà allo Stato, perché non vi ritornano quelle armi altrimenti inutilizzate? Lo Zanvettori morì nel 1928. La moglie - Signora Alberta Porta - cedette il castello allo Stato riservandosi l'usufrutto "vita natural durante". Una lapide, recentemente posta nel cortile, testimonia l'opera di restauro del 1920-1923.

 
GLI AFFRESCHI DEL CASTELLO
 

Allorché il castello assumeva sempre più funzione di rappresentanza e di residenza, i Signori pensarono di ingentilirne l'aspetto concedendosi a comportamenti non proprio militareschi. E non potevano le grandi pareti delle stanze del Castello restare estranee a quello che allora era di gran moda: l'affresco. Il primo periodo è solo documentato da una poesia umanistica magistralmente commentata nel 1970 da Augusto Campana. Ad un certo punto di questa poesia, anonima, In laudem Ora d'arie scritta verso i primi decenni del 1400, si accenna a pitture che affrescavano le pareti di ben tre diversi ambienti: "Adorna il vestibolo Scipione... Nell'interno del palazzo si vedono le fiam meggianti battaglie dei Troiani... combattono con le schiere dei Laurenti: da un lato Enea trattiene Turno superbo per l'uccisione di Pallante; dall'altro, dopo una porta più interna una fiera turba di quei capitani che meritarono eterna fama nei secoli". Nel vestibolo si osservano ancora tracce di graffiti.

 

 

Interessante è l'accenno - uno dei primi - a Scipione, entrato poi nell'araldica dei Malatesta. Anni dopo Sigismondo-Pandolfo nel Tempio Malatestiano di Rimini farà rappresentare il trionfo di Scipione l'Africano sul "Sarcofago degli Antenati". L'accenno alle effigie di famosi capitani, e probabilmente con sotto delle iscrizioni, inserisce il castello in quella che fu una decorazione pittorica comune a molti altri castelli e palazzi nel '300 e '400. Siamo a conoscenza di una iscrizione che illustrava un'immagine di Ettore che esisteva nell'anticamera del Guastafamiglia: "In guardacamera Magnifici D. Domini Malatesta de Malatestis..." Natorum Priami fuit hic sol unicus, alta spes Teucrum Danaumque metus, fortissimus Hector, Pur ignorando l'esistenza di questo interessantissimo carme, alcuni autori sono concordi nel l'attribuire alla grande sensibilità di Malatesta dei Sonetti, che ebbe una lunga e prediletta Signoria su questo castello (1385-1429) dove mori, il merito di aver fatto affrescare le stanze. Lambertino Carnevali nel 1928 scrive che "Soggiornarono in Gradara artisti famosi quali Genti le da Fabriano (1417), Apollonio dal Calino orafo, Jacopo da Imola (1419) miniatore ed altri". Vincenzo Baldieri, insigne studioso di Rocche e castelli, dopo aver nominato Gentile da Fabriano e Jacopo da Imola, scrive che Durante tale periodo alcune sale della Rocca conobbero il fascino di deliziosi affreschi...lì Michelini Tocci, recentemente, accenna a Mariotto di N'ardo ed al suo allievo Lorenzo Ghiberti, allora interessato alla pittura, e la cui presenza lasciò tracce a Pesaro. Al secondo periodo appartengono quelle descritte nel 1744 dall'Olivieri (nato nel 1708): "Fu Malatesta non solamente uomo di senno e valore, ma letterato ancora, come dimostrano le poesie che di lui abbiamo, e Signore di gusto; ond'egli credo io fosse quello, che dipinger fece le camere di codesta Rocca, le quali pitture mi ricordo, quando era io ragazzo, aver vedute, e mi restano ancora in mente i tanti puttini, che tenevano in mano gran targhe con la scacchiera, arma dei Malatesta, simili appunti a quelli che vidi negli anni scorsi d'URAR ancora nelle rovine della Rocca di Montelevecchie.

 

La menzione di queste pitture mi suggerisce di ricordare altra che si nomina ne' rogiti di Bartolo degli Albertucci, esistenti in questo pubblico archivio, 6 febbraio 1465. Actum in Arce Gradarie in Sala de le battaglie". Questo importante ricordo oltre a confermare l'esattezza di quanto descritto dalla poesia sopra citata - Sala de le battaglie - ci fa sapere che già all'epoca dell'Olivieri non esisteva più l'altra pittura, quella del primo ciclo, che aveva per soggetto battaglie ma, lui ragazzo, esisteva ancora quella dei tanti puttini che tenevano in mano gran targhe con la scacchiera. È una sicura testimonianza che quando il Mosca-Barzi prese possesso nel 1773 del castello non esistevano già più gli affreschi dei puttini che l'Olivieri aveva ben osservato quando era ragazzo... Gli enfiteuti del cinquantennio precedente al Mosca, lungi dal restaurare, avevano distrutto anche quei pochi affreschi che rimanevano... E questi puttini riteniamo non faces s'ero parte del primo, ma del periodo posteriore, quello rinascimentale, al tempo del raffinato Sigismondo Pandolfo, al tempo - per intenderci - in cui anche il suo grande rivale Federico da Montefeltro farà altrettanto nel fronte dei camini che ancora si ammirano. nel palazzo Ducale di Urbino. Anche di questo periodo non rimane- testimonianza. Tracce di sinopia e di colore affiorano in diverse pareti... Due sicuri documenti ci parlano di battaglie ed è notorio che l'attuale Sala del Consiglio prima veniva chiamata Sala delle Battaglie; ora le pareti sono ricoperte da iuta. Non è inutile ricordare che proprio all'antivigilia del Natale del 1954 in Borgo S. Sepolcro fu scoperto, per caso, sotto un vecchio intonaco della Chiesa di 5. Agostino, uno dei più splendidi visi affrescati da Piero della Francesca, e non solo da lui... Terzo periodo. Al visitatore che giunge alla Sala del Consiglio, (già delle Battaglie) del castello di Gradara, si presenta un grande magnifico affresco che occupa tutta una parete. L'affresco non è nato sul posto, ma è stato strappato dalla parete del loggiato sforzesco, a pochi metri dalla sede attuale. A parte il soggetto, lo stile della magistrale esecuzione ci riporta ai sarcofagi romani ed alle decorazioni che impreziosiscono l'Arco di Costantino. Se controversa è l'individuazione del soggetto raffigurato, ancora di più ne sarà l'attribuzione.

 

Della stessa mano ed epoca ne esistono altri. Chi è l'artista ed in quale epoca sono stati eseguiti gli affreschi del terzo periodo? Tutti concordano che questo ciclo fu fatto eseguire da Giovanni Sforza verso il 1494 in onore della moglie Lucrezia, Borgia. Bernard Berenson, Luigi Serra, Giuseppe Marchini seguiti da Annamaria Petrioli-Tofani, fanno il nome di Girolamo Genga. Paolo Venturoli nel 1969 e Michelini Tocci nel 1974 puntano sul nome di Amico Aspertini (1474-1552) pittore bolognese che "Giovanni Sforza aveva probabilmente conosciuto a Roma all'epoca delle sue nozze con Lucrezia Borgia e che era venuto la prima volta a Pesaro nel 1494, al seguito della sposa. Questo artista bizzarro inquieto e polemi9o, allievo del Francia e del Costa, fu più volte a Gradara, prima e dopo l'occupazione del Valentino. Andava e veniva protetto dal principe e sempre affascinato dai grandi spazi bianchi delle pareti. Del suo lavoro nella Rocca, che dovette essere cospicuo per estensione e per impegno, resta no alcuni importanti frammenti che ci fanno rimpiangere il resto dell'opera purtroppo perduto". Diremo che quest'ultima è l'attribuzione più seguita. Oltre alla battaglia, nella loggia sforzesca, dopo una alquanto deperita figura di guerriero a mezzo busto, ci troviamo innanzi ad un ben conservato affresco monocromo sopra una porta. La scena raffigura Curzio Dentato che per placare l'ira degli Dei si getta con il cavallo in una voragine che si era aperta innanzi al Foro romano. Fuori campo vi è il nome del restauratore, Guido Fiorucci., 1923. Prima di entrare in un atrio, che per comodità chiameremo della Passione, sulla parete destra si ammira un frammento policromo raffigurante una massiccia figura di maestro nell'atto di parlare, più con le mani che con la bocca, ad un rispettoso ed attento gruppo di discepoli di varie età, altri ci scorgono un gruppo di musici.

 
Testi tratti da: "Gradara nella storia, nell'arte e nel turismo."
edito da PAMAGRAPHICOLOR Autore: Delio Bischi
 

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